Le due P di Vallio.

Le due P di Vallio è la leggenda delle dispute sul luogo dove far sorgere la chiesa.

le due P di Vallio - leggende bresciane

Sul frontone di un’antica casa di Caschino, in quel di Vallio, si può ancora leggere, incisa nella pietra questa frase:

Quod factum erat opus, come dire: «Era necessario che si facesse…».

Dopo secoli di isolamento, le otto contrade che costituiscono l’abitato della verde conca bagnata dalla Vrenda, decisero che era necessario edificare una chiesa madre che le unificasse tutte nell’esercizio della fede dei padri.

Subito nacquero le rivalità: ogni contrada voleva che l’edificio sacro sorgesse nel proprio territorio.

Accampando pretesti che spesso affondavano le loro radici nelle legittimità consacrate dal tempo, gli abitanti di Caschino la volevano per sé.

Dichiarando che il nome della loro contrada derivava da cascus, che in origine voleva dire il più vecchio.

Quelli di Somagro la volevano perché a loro dire il nome lo derivavano da summus ager, il posto più alto.

Sopranico la rivendicava, perché, a sua volta, opponeva la sua chiara origine rispondente al supernus vicus, cioè la contrada che sta sopra tutte le altre.

Quanto a Oriolo, sorgendo a oriente (orientulus vicus) sosteneva che una chiesa aperta al primo sole non poteva avere rivali.

E così via, scartando a priori Porle (portulae) alle falde di Sant’Eusebio e Cazzino (gazus re^s) perché nel loro territorio sorgevano già due chiesette, l’una dedicata a San Gaetano, l’altra a San Rocco.

Come sempre accade,

nel vortice delle dispute e delle rivendicazioni, quando le opinioni sono troppe e le pretese altrettante, la decisione veniva forzatamente rimandata.

E il paese rimaneva e continuava a rimanere senza chiesa. Perdurando le discussioni e le titubanze, cresceva lo scandalo nelle persone di buona volontà che invece volevano ad ogni costo che si trovasse una soluzione accettabile per tutti i valligiani delle diverse contrade.

Per lunghi anni, accantonato il tira-e-molla sul luogo dove doveva
sorgere la nuova chiesa.

I maggiorenti si schierarono in opposte fazioni
sull’origine del nome, dal momento che il Paese stava per diventare autonomo, staccandosi dal vecchio cordone ombelicale della quadra di
Gavardo.

Da una parte, i sostenitori di un Vallio derivato da “valium” naturale luogo deputato a una difesa che, appunto, nel termine latino lasciava aperta la strada all’accettazione del toponimo.

Dall’altra, sempre più numerosi, coloro che parteggiavano per un più probabile Vallium, dal momento che le carte parlanti della topografia segnavano, fin dai tempi della Serenissima Repubblica di San Marco, il nome Vaj corrispondente ai “vaj”, cioè alle convalli che erano segnate sotto il nome di Val Faraone, Val Luana, Val Serane, Val Sasàs… il ché faceva pensare ad un Vicus Vallium, ossia un luogo sorto alla confluenza delle varie valli…

A tagliar corto con le dispute diversive, ecco un forestiero, ma non
tanto, perché veniva dal Garda, fare una proposta che parve accettabile
da tutti i rappresentanti delle otto contrade.

«Affidiamo alla sorte la scelta del luogo. Il cielo ci darà una mano…», disse.

«Sentiamo!», si disposero all’attenzione i convenuti.

«Prendiamo una colomba della Vrenda, la benediciamo e quindi la lasciamo prendere il libero volo su e giù per la verde conca.

Là dove si poserà, ivi edificheremo la chiesa».

Non avendo più motivo di opporsi ad una saggia proposta che toglieva veleno alle rivalità, tutti accettarono di buon grado.

Fu portata una colomba a benedire dal pievano di Sopraponte, terra neutrale, quindi dal Santuario della Madonna del Manghér, sopra la Corona di Sconzane, fu lanciata in volo verso la valle della Vrenda.

Tutta la gente era accorsa sui poggi e dai colli seguiva il volo del
volatile benedetto.

I maggiorenti trattenevano il fiato, covando in cuor loro il segreto desiderio che la colomba si posasse nel proprio territorio.

L’uccello dapprima puntò diritto verso il nord, poi come se un ordine perentorio l’avesse convinta a mutare rotta, diresse il volo verso sud.

Ma ancora pareva indecisa.

Infatti, eccola dirigersi verso est. E subito dopo con un’ampia voluta direzionale volse verso ovest.

«Ha segnato una croce!», notarono i più avvertiti.
«E il cielo che la guida!», commentarono i vicino.

Giunta a mezza valle, la colomba parve soddisfatta.

Il luogo era deserto, equamente distante dalle contrade che si affacciavano sull’alveo del rapido torrente.

Strinse il volo, picchiò svelta e andò a posarsi sopra un albero.

Un urlo uscì dalla gola di cento e cento spettatori.

La scelta era proprio stata “guidata” dal cielo.

Dalle otto contrade accorsero i più svelti, per sancire la decisione
presa dalla colomba.

E furono stupiti di vedere che l’albero su cui aveva fermato il volo aveva i rami intrecciati a formare due grandi P.

In quel luogo, dunque, sorge la chiesa, maestosa e imponente, visibile da tutte le contrade.

La leggenda le due P di Vallio vuole che la chiesa, dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo, avesse voluto tener conto del celeste avvertimento indicato dalle due P.

“Le due P di Vallio.”

Tratto da ” Trenta Leggende Bresciane ” di Lino Monchieri

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