El Pasì, il veccho saggio.
El Pasì era un vecchio saggio aveva scelto come dimora in
abituro diroccato nei pressi del Colle di Sant’Eusebio che domina la verde conca di Vallio.
In capo a numerosi anni di fatiche e di sudori, il vecchio, che i vicini chiamavano El Pasì, era riuscito ad acquistare sul mercato di Odolo un cavallo che lo aiutasse nel disbrigo dei lavori più pesanti.
I montanari dei dintorni subito erano accorsi per felicitarsi col Pasì.
Complimentandosi con lui per l’acquisto dissero: «Quale fortuna ti è
capitata con l’arrivo del quadrupede!».
Ma il vecchio, senza scomporsi più di tanto, saggiamente rispose:
«Chi vi dice che questa sia proprio una fortuna?».
Ora avvenne che, di lì a poco, un brutto giorno E1 Pasì, svegliandosi di buon’ora per condurre il cavallo al lavoro, trovò la scuderia vuota.
L’animale era fuggito, disperdendo le sue tracce nel fitto dei boschi
che ammantavano il Colle.
I vicini non perdettero l’occasione di accorrere dal Pasì per esternare il loro rammarico e per condolersi con lui.
«Ti siamo solidali davanti a questa immeritata disgrazia!», dissero,
manifestando la loro sensibilità.
Ma E1 Pasì non batté ciglio.
La vecchia saggezza gli suggerì la pronta risposta:
«Chi vi dice che questa sia proprio una disgrazia?».
Pochi giorni passarono ed ecco il cavallo tornare alla baita, trascinandosi dietro una mezza dozzina di puledri selvaggi.
La voce si sparse con la rapidità del fulmine e i soliti vicini accorsero solleciti a esprimere la loro opinione in proposito:
«Caro Pasì, ti sei proprio meritato questa bella fortuna e noi siamo
qui a far festa con te».
Ma Pasì, imperturbabile, li accolse con un lapidario e scontato
pensiero suggerito dalla sua antica saggezza:
«Chi vi dice, fratelli, che questa nuova sia proprio la mia fortuna?».
Impaziente di domare i puledri che gli erano venuti in baita come
manna piovuta dal cielo, il figlio del Pasì si affrettò a montare il primo,
per ridurlo al basto e alla sella.
Ma il selvatico quadrupede non volle sopportare né carico né peso: sbuffando, scalciando e sgroppando tanto fece e tanto si agitò che riuscì a scaraventare l’incauto giovane sul duro terreno.
Nella malaccorta caduta, il figlio del Pasì si ruppe le ossa in
modo così serio che si dovette provvedere al suo ricovero nel lazzaretto.
I vicini, accorsi dal Pasì, per presentargli la loro doglianza e per
consolarlo, non mancarono di ripetere:
«Ah, che disgrazia! Ah, che disgrazia!», «Ma quale disgrazia?» fece quello. «Chi vi dice che questa sia proprio una disgrazia?».
Ora avvenne che prima della sua completa guarigione, il giovane
fu preso da invincibile amore per la graziosa infermiera che si era presa cura dei suoi malanni e che l’aveva accudito assiduamente per tutta
la degenza.
Al momento d’essere dimesso, il giovane propose alla fanciulla di
seguirlo: «Ti presenterò a mio padre ed entrerai nella nostra casa come
mia sposa».
Alla notizia che il figlio del Pasì era tornato, risanato e fidanzato, i
vicini non si fecero attendere e corsero a manifestare la loro gioia e la
loro partecipazione.
Il vecchio saggio però li accolse con la misura di sempre:
«Chi vi dice che questa che voi chiamate fortuna sia davvero una
fortuna per me e per mio figlio?».
Di lì a non molto, infatti, come fosse scritto nelle tavole del tempo, una terribile bufera investì casa e scuderia, le devastò e le spazzò via
come pagliuzze.
Questa volta, Pasì attese invano che i vicini si facessero vivi per
offrirgli ricetto e concreto aiuto materiale.
«Che disgrazia, padre! Una disgrazia irreparabile!» si lamentava il
figlio, tenendo stretta a sé la sposa tremante di terrore.
II saggio di Sant’Eusebio, senza scomporsi, rispose: «Sarà quel che
Dio vorrà e tu non dire che questa è una disgrazia».
Quando il sole squarciò la nuvolaglia ed ebbe ragione della bufera trasse un intenso luccichio da certe monete d’oro che la valanga d’acqua aveva messo allo scoperto.
Qualcuno nei secoli bui aveva celato lassù il suo tesoro, rimasto sepolto e ignorato.
E1 Pasì raccolse con calma le monete preziose e disse al figlio:
«Prima che i vicini vengano a dir la loro sulle disgrazie e sulle fortune nostre, che ci toccano senza che noi le invochiamo, faremo bene a
cercarci un’altra dimora».
Presero il sentiero che scendeva nella valle dei Vaj, sotto la vetta
aguzza della Rocca di Bernacco.
Scelsero per vivere il resto dei loro
giorni un luogo appartato, ombreggiato da una rigogliosa macchia di
Cerri, che da allora prese il nome di Cerreto.
Un nome che ancor oggi, allo svolto che da Cazzino mena a Porle, indica, senza ombra di dubbio, la posizione dell’antica dimora del
saggio Pasì di Sant’Eusebio.