Silvia, la bella imprigionata!

Silvia , la bella fanciulla rinchiusa dal tiranno!

Silvia, la bella imprigionata! Leggende Bresciane

In quei tempi, narra la leggenda bresciana, si ergeva nella Conchiglia, un’amena perla verde, compresa tra l’Isolabella e Ponte Alto, un rozzo torrazzo di legno.

Senza finestre e dalla porta sbarrata, dentro il quale era tenuta segregata e sepolta viva una bella fanciulla.

La fanciulla del luogo che non aveva voluto piegarsi alle basse voglie di Suello, signorotto della Maiera.

Con un pretesto infame, il losco figuro aveva attratto l’avvenente Silvia, impedendole poi di uscire liberamente dal suo maniero.

Dal momento che si era recisamente rifiutata di cedere alle indegne profferte di lui.

Invano i genitori della fanciulla avevano supplicato Suello di restituire la figlia al loro affetto; invano l’avevano implorato di ridarle la libertà, in cambio di un cospicuo riscatto.

«Qui mi serve e qui la tengo» fu l’invariabile risposta del tiranno.

Ogni volta ripetuta in presenza dei molti che ricorsero a lui per intercedere in favore degli sventurati genitori.

«Che cosa vi ha fatto di tanto grave da privarla della libertà e da
trattenerla contro la sua volontà?».

«Avrà salva la vita, soltanto se si piegherà ai miei voleri» urlava
Suello, mentre dava disposizione ai suoi sgherri di allontanare gli importuni e i postulanti.

«Non rivedrà mai più la luce del sole e l’amore dei suoi familiari, se si ostinerà a negarmi i suoi favori».

La gente del vicinato e gli abitanti della Conchiglia sospiravano impotenti:

«La sua colpa è d’esser nata bella!

La fama della sua bellezza ha varcato i confini della Conchiglia ed ora Suello non vuole che le sia strappata!

Pretende che sia e resti tutta per sé».

Follemente invaghito di Silvia, Suello intendeva usare ogni mezzo
pur di piegarla al suo volere.

Ma Silvia, decisa a non cedere, non solo lo respinse, ma cominciò a rifiutare il cibo che le fantesche le portavano e a evitare ogni approccio col tiranno, chiudendosi in un disperato mutismo.

Esasperato dal reiterato rifiuto, accecato dall’ira e dalla passione,
Suello decise di vendicarsi in modo orrendo.

Affastellò tutt’intorno al tozzo torrazzo di legno, paglia, sterpaglia e arbusti secchi, poi, minacciando di dar fuoco alla pira gridò verso la fanciulla:

«Per l’ultima volta ascolta la mia richiesta, accogli il mio desiderio o finirai sul rogo!».

«Meglio morta che in vostro potere!» rispose fieramente la coraggiosa Silvia.

Determinato a por fine all’atroce vicenda, Suello mise in atto il suo insano disegno e appiccò il fuoco alla catasta…

Quando già le fiamme, avvolgendo la facile esca del capanno infiammabile, stavano per lambire il ristretto tugurio dove la bella fanciulla della Conchiglia giaceva immobilizzata dalle catene della carcerazione, ecco che, per un prodigio improvviso, come fosse sollevata da un vento impetuoso, la copertura fu strappata via…

«Madonna mia, salvami da questi pericoli!» implorò la fanciulla
con voce rotta.

«Madonna del pericolo, salvate nostra figlia» unirono le loro voci i genitori e i parenti accorsi al bagliore dell’incendio.

D’incanto, le fiamme si spensero, le catene si ruppero, la torre si scardinò e Silvia si ritrovò miracolosamente salva tra le braccia dei suoi cari.

Appena in tempo per assistere alla miseranda fine del tiranno: una voragine si aprì, sul momento, nel luogo stesso dove prima stava il maniero, e ingoiò Suello con tutti i suoi sgherri.

Per tramandare nel tempo, a perenne memoria del prodigio, il salvamento di Silvia, la gente della Conchiglia decise, con voto unanime, di erigere una piccola edicola dedicata alla Madonna dei Pericoli.

La “santella” è ancor oggi visibile nell’attuale Via Pisacane, a nord della
città, dove prima si apriva l’isola verde della Conchiglia.

La leggenda racconta che Silvia,

scampata alla brutta avventura, faticò molto a riprendere un sonno regolare.

In particolare, per lungo tempo, la gente ricordò con quale trepida e amorosa cura la madre cercasse di aiutare la figliola a ritrovare l’antica serenità.

I più attenti custodirono nel loro ricordo le parole di una ninna-nanna che la mamma di Silvia cantava ogni sera cullando la dolce figliola:

«Se i galli non cantassero
se le campane non suonassero
tutta la notte te ninnarìa,
0 anima mia!».

“Silvia, la bella imprigionata!”

Tratto da ” Trenta Leggende Bresciane ” di Lino Monchieri

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