La croce di Manerba – Leggende Bresciane
Narra la leggenda che, alta sul dirupo di Manerba, nella notte dei tempi si aprisse una misteriosa grotta dalla quale si poteva spaziare sulle limpide acque del Lago di Garda.
Viveva in quell’antro a picco sul lago un ferocissimo lupo che faceva buona guardia contro le incursioni dei curiosi e degli incauti. Invano, gli abitanti del territorio avevano cercato di stanare la belva per restituire il dirupo alla libera frequentazione dei visitatori, attratti dall’incantevole panorama che solo si poteva godere dall’impervia prominenza.
Tutti i tentativi erano miseramente falliti. Invano, i giovani più ardimentosi si erano cimentati nell’impresa stimolati anche dai ricchi premi messi in palio dalla Comunità della Valtenesi per liberare la plaga dal pericoloso lupo che con le sue minacciose sortite allontanava chiunque osasse sfidarlo.
Invano, dai campanili dei paesi vicini erano suonate le campane a martello per chiamare a raccolta i più coraggiosi e incitarli ad un estremo assalto. Il lupo era sempre là, determinato a difendere la rocca e a impedire ogni accesso alla sommità del dirupo.
Un giorno, però, i maggiorenti delle Comunità gardesane si diedero convegno per affrontare e risolvere il grave problema di Manerba. Emisero un bando speciale e deliberarono di porre una grossa taglia sulla testa del lupo.
Al rullo dei tamburi, i banditori lessero i termini del bando in tutte le contrade del lago. Di lì a poco, accorsero a Manerba i giovani più prestanti e decisi.
Sottoposti a rigorosi esami preliminari da una commissione di esperti, soltanto tre candidati furono prescelti per la grande prova: un giovane di Moniga, uno della Raffa e uno della Pieve vecchia.
Con la benedizione del vicario i tre ardimentosi partirono, ciascuno custodendo dentro di sé il segreto per la riuscita del loro tentativo.
Il giovane di Moniga si fece sotto per primo. Portava nella bisaccia un tenero agnellino. Offerto come preda prelibata al lupo, il concorrente sperava in cuor suo di attirare in una trappola mortale il feroce avversario e di abbatterlo con facilità, con la sua micidiale balestra.
Avanzò dunque fin sotto il limitare della grotta. Aprì la bisaccia, ne tolse l’agnello e lo depose proprio all’ingresso, perché col suo flebile belato la bestiola invitasse il lupo a uscire.
Quando già stava per armare col dardo mortale la balestra, il lupo balzò fulmineo sul malcapitato che, preso alla sprovvista, fu travolto e scaraventato dall’alto della rupe nelle acque del lago.
Il secondo tentativo fu altrettanto sfortunato. L’uomo della Raffa, munito di una robusta rete a maglie strette, guadagnò furtivo la grotta con l’intento di sbarrarne l’accesso per cogliere senza scampo il lupo.
Ma l’astuta bestia lo prevenne: con destrezza insospettata avviluppò il temerario, lo trascinò sull’orlo del dirupo e quindi lo gettò di sotto.
Il giovane della Pieve agì con accortezza. Al coperto d’un folto cespuglio, si diede ad imitare così bene l’ululato del lupo che l’animale, tratto in inganno, uscì all’aperto.
Ritenendo d’aver a che fare con un rivale che era venuto ad insidiargli il predominio della rupe, l’incauto lupo si slanciò nel folto del cespuglio deciso a sgominare il nemico con le unghie e con i denti.
Ma ecco il giovane ergersi senza paura: brandendo una croce come scudo la levò contro il lupo che cominciò ad arretrare, preso da subitaneo spavento.
«E’ con questo segno che io vincerò la mia paura e trionferò dei miei oppressori!» gridò il giovane con voce tonante.
«E’ per questo segno io ti comando di cedere il passo». Con un ultimo ululato d’impotenza, il lupo arretrò finché non precipitò con un tonfo sordo nel profondo del golfo.
La leggenda dice che, al largo dell’ampio seno che fa bella la sponda di Manerba, sono sorti due scogli a ricordo dello sfortunato tentativo dei giovani audaci di Raffa e Moniga.
Quanto al vincitore della Pieve, dopo che per suo volere fu piantata la croce sulla sommità della Rocca – «in segno di salvezza e di liberazione» – la popolazione di Manerba gli tributò onori e festeggiamenti mai visti a memoria d’uomo.
Da allora, dal buio dei secoli, la croce di Manerba sulla Rocca ha sempre illuminato la strada ai viandanti, a ricordo dell’impresa compiuta dall’ardimentoso giovane della Pieve che la leggenda vuole chiamarsi Tosello.