Gego – Leggende Bresciane.

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Il Gego era un buon uomo per metà sempliciotto e per l’altra svampito.

Vita sola, il Gego non aveva mai provato grandi dispiaceri, così come mai aveva avuto grosse soddisfazioni.

I suoi anni erano passali via lavorando. vivendo onestamente e noiosamente.

Una volta che stava nei campi per l’erpice, non s’accorse che si era fatta sera e il paese era lontano.

Era talmente incagnito nel suo lavoro che non si rese conto del passare delle ore.

Fu l’aria fredda di tramontana che lo riportò alla realtà.

Raccolse le sue cose. e s’incamminò che il buio era venuto giù di brutto.

La notte era piombata sulla terra talmente fosca quella volta che l’uomo non sapeva dove metteva i piedi.

Inciampava tra i rovi, sbatteva contro gli alberi, non riusciva a schivare i pericoli di quella strana, minacciosa sera.

Era così buio che al povero Gego pareva di camminare con gli occhi chiusi.

-Che stupido sono stato -si ripeteva mentre, aveva imboccalo un sentiero che non aveva mai fatto- se smettevo di lavorare, che il sole era alto, ora mi ritroverei sedulo sotto un tavolo davanti ad un buon piallo di minestra calda.

Invece eccomi che nemmeno riesco a distinguere il piede destro dal sinistro.

Procedeva a tentoni cercando la via a lume di naso.

Biôscava, ruzzolava, sbatteva contro spigoli e siepi, inciampava sulle zolle e le ceppaie.

Poi sentì l’acqua sotto i piedi: aveva raggiunto una pozza, un guado che lì per lì gli sembrò di riconoscere, chiamato
Guado del Luf.

-Manuna mia, dove sono andato a finì.

Invece di avvicinarmi al paese mi sono allontanato.

Ecco perché non vedevo né. luci, né sentivo rumori. né campane suonare.

Il Gego si bagnò le braccia e le gambe piene di lividi, di graffi, di sangue secco.

All’osteria lo aspettavano e si chiedevano dove mai fosse andato, questa volta, il Gego a cacciarsi.

-Cosa vuoi -dicevano- è il Gego. Non c’è niente da pretendere e tutto da aspettarsi.

Poi. improvvisamente, un’ombra più buia del buio fu su di lui.

-Oddio -ebbe solo il tempo di gridare. E più niente.

Lo trovarono il giorno dopo, non si era allontanato che di qualche metro.

Stava là, occhi spalancati, tutto un livido, sudato che  pareva uscito da una tinozza, a piedi nudi, con un forcone in mano e una corda al collo.

-Gego ma che ti è capitato questa volta.
-Ero qui, ero là -tentò di raccontare- né di qua, né di là, né su né giù.

Mi sono girato e pirlato e non mi sono più ritrovato.

-Ma che ti è successo Gego di un gego, ti sei incantato ancora tra i tuoi sogni, hai inciampato un’altra volta in quegli incubi che ti tormentano l’anima?

Su torna a casa che c’è ancora la minestra sul fuoco.

Gego

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