Andreola di Poncarale, l’amore incompiuto.

Andreola di Poncarale – Leggende Bresciane
Nel leggendario medievale delle nostre terre spicca una toccante storia d’amore che Giovanni Boccaccio riprese nella quarta giornata del suo Decameron, dedicata «a coloro li cui amori ebbero infelice fine». 
 
Si narra, dunque, che, nella «nobile città di Bressa», un gentiluomo nominato Negro da Pontecarraro, avesse tra i suoi figli un’avvenente figliuola chiamata Andreola di Poncarale. Ora avvenne che la bella fanciulla fìa presa d’amore per un vicino, di nome Gabriotto, giovine di bassa condizione, ma molto dabbene e di onorati costumi.
 
Con l’aiuto della fantesca di casa che aveva cura della sua persona, Andreola di Poncarale non solo rivelò il suo amore per il bel giovane, ma fece in modo di potersi incontrare più volte di nascosto con lui, nel riparato giardino della dimora paterna. Una notte, però, l’Andreola vide, in sogno, che dal corpo dell’amato usciva una cosa oscura e terribile, sconosciuta nella forma, che a viva forza riuscì a strapparle Gabriotto dall’abbraccio e a trascinarlo fin sotto terra.
 
Svegliata dall’orrenda visione, l’Andreola durò fatica a convincersi che si era trattato d’un sogno. Sotto l’incubo della notte, proibì a Gabriotto di venirla ad incontrare. Ma la sera dopo, cedendo alle insistenze di lui, accettò di riceverlo nel solito giardino. Il giovane la condusse a sedere nei pressi d’una fresca fontana e le fece dono d’un mazzo di rose bianche e vermiglie. Trovandola però silenziosa e turbata, chiese conto del suo riserbo, nonché della ragione che l’aveva spinta la sera prima a vietargli d’incontrarla.
 
Schiettamente, Andreola gli raccontò il sogno e Gabriotto, ridendo, osservò che è da sciocchi prestar fede ai sogni, i quali, dopo tutto, sono spesso figli del troppo o del poco mangiare alla cena… Di poi, aggiunse: «Se anch’io avessi voluto dar credito al sogno che ho fatto la notte innanzi, non avrei dovuto venire qui!». Raccontò a sua volta che gli era sembrato di trovarsi in una selva oscura e d’aver catturato una capriola candida. “Così bella – disse Gabriotto – da risparmiarla e da farmela amica. Or dunque, mentre con essa mi godevo la frescura all’ombra d’un frondoso albero, ecco dalla capriola uscire una veltra nera come il carbone, famelica e con le zanne protese verso il mio petto. Fulminea, mi squarciò e mi strappò il cuore, per divorarselo. Svegliatomi di soprassalto, impaurito più che mai, mi toccai e ritoccai per accertarmi ch’ero vivo e sano e che il cuore batteva ancora qui dove sta». Sorrise rinfrancato alla sua bella Andreola e concluse: «Or dunque, bando ai sogni che turbano, e godiamoci l’età verde dandoci al buon tempo!». Così dicendo, l’abbracciò stretta e teneramente le parlò d’amore.
 
All’improvviso gettò un gran sospiro e gridò: «Ohimè, amor mio! Aiutami, che muoio…». Ciò detto reclinò il capo e cadde morto sull’erba del praticello. Sconvolta e disperata, l’Andreola, rotta in lacrime, corse a chiedere aiuto alla fantesca. E venendo con lei verso il corpo immoto dell’amato, si lamentava: «Quando il padre mio saprà e tutti sapranno di me e di Gabriotto, io non potrò più reggere e mi toglierò la vita che s’è fatta inutile senza di lui… Ma tu, ora – ordinò -, aiutami a dare degna sepoltura a questo mio amato…».
 
La fantesca, con pazienza, riuscì però a farle cambiare idea. Disse: «Ricomponiamo il corpo di lui come si conviene e adagiamolo sulla porta di casa sua, qua vicino. Domani all’alba qualcuno lo troverà e provvederà».
L’Andreola trovò saggio il consiglio della fantesca e togliendosi l’anello dal dito lo pose all’anulare dell’amato, e lacrimando forte disse: «Ricevi, mio caro, benignamente questo ultimo dono di colei che con la promessa d’amore avevi fatto tua sposa». Or mentre le due donne, sopra un piccolo carrettello erano intente a spinger Gabriotto verso la casa dove aveva abitato, s’imbatterono per strada nella famiglia del podestà. Scoperte col cadavere del giovane, furono costrette a entrare nel palazzo podestarile per rendere conto del loro operato. Chiamati i medici, fu accertato che il giovane non per veleno o per altro accidente era deceduto, ma soffocato da una postema scoppiata vicino al cuore…
A giorno fatto, fu informato dell’accaduto lo stesso Negro da Pontecarraro che ordinò di condurgli subito la figliola, per giustificarsi e dargli spiegazioni del fatto. Andreola di Poncarale non solo confessò ogni cosa, ma difese con fermezza d’animo il suo amore.
 
Colpito dal sincero pentimento della figlia, ma anche dalla sua tenace passione per Gabriotto, messer Negro si commosse e sollevando a sé l’Andreola che gli si era gettata ai piedi, disse: «Figlia mia, avrei avuto
molto caro che tu sposassi un giovane di pari condizione, ma l’avermi negato fiducia, l’avermi tenuto nascosto il tuo amore e soprattutto l’aver visto costui morto prima ancora di conoscerlo, tutto questo m’addolora profondamente. Non di meno, per contentarti voglio rendere da morto al tuo amato quegli onori che da vivo come genero avrebbe maritato».
 
Rivolto ai figli e ai parenti ordinò che fossero rese solenni e pubbliche esequie allo sventurato Gabriotto. Alla notizia, accorsero a Poncarale da «tutta la nobile città di Bressa» donne ed uomini, quanti in essa erano. Posto il feretro, col corpo di Gabriotto ornato dalle rose bianche e vermiglie che aveva poco prima donato alla sua amata, fu lasciato alla pubblica lamentazione, pianto da tutte le belle donne cittadine, quasi che fosse non d’origini plebee, ma nobili e rispettate. Portato alla sepoltura, tra grande concorso di folla, gli furono tributati onori tali che soltanto un giovine di altissima schiatta avrebbe potuto avere.
 
Nei giorni che seguirono, l’ Andreola di Poncarale non volle udir ragione, fuori dal consiglio che il padre Negro ebbe a darle. In compagnia della fedele fantesca, prese i voti e si ritirò in un monastero dove visse monaca per tutto il resto della sua vita. 
Andreola di Poncarale - Leggende Bresciane
Andreola di Poncarale 
Tratto da ” Trenta Leggende Bresciane ” di Lino Monchieri

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