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I Longobardi a Brescia.

I Longobardi a Brescia, il popolo giunto dal nord.

I Longobardi a Brescia arrivarono intorno al 569 d.C. e venne inizialmente governata dal Duca Alachis.

La città all’epoca aveva spostato la propria centralità dove oggi troviamo piazza Duomo, e anche fuori della struttura muraria.

La parte orientale di Brescia fu abbandonata e gli edifici  romani vennero saccheggiati dei loro componenti strutturali e col passare del tempo ricoperti da terreno e sedimenti.

Brescia ebbe un ruolo importante all’interno del Regno Longobardo, infatti Rotari, inizialmente Duca della città, in seguito, nel 636 d.C fu incoronato Re dei Longobardi.

La città raggiunse la sua massima importanza con l’arrivo di Re Desiderio.

Anche dentro le mura antiche cominciarono ad edificare sempre più edifici, principalmente abitazioni.

L’edificio più importante realizzato da I Longobardi a Brescia fu costruito nel 753: il monastero di San Salvatore, che oggi si trova all’interno del complesso di Santa Giulia.

Era un monastero femminile benedettino in cui fu nominata prima badessa proprio la figlia del Re, Anselperga.

Il monastero venne sempre più arricchito di reliquie, la più importante che ancora oggi possiamo ammirare è la Croce di Re Desiderio.

Brescia Longobarda terminò con la sconfitta definitiva che subì il regno ad opera di Carlo Magno e la seguente nascita del Sacro Romano Impero.

Il Regno Longobardo.

La riconquista dell’Italia da parte dei bizantini con la guerra greco-gotica (535-553) doveva rivelarsi del tutto provvisoria.

Furono i longobardi, popolo germanico originario della regione intorno alla foce dell’Elba, a sottrarre in poco tempo gran parte della penisola italica all’impero bizantino.

Fu, quello longobardo, un vero e proprio esodo di massa avvenuto poco dopo la morte di Giustiniano.

Nel 568 infatti i longobardi guidati, pare, dal re eletto per l’occasione, Alboino, abbandonarono l’area ungherese dove si erano per qualche tempo stanziati e si spostarono lentamente verso sudest, in direzione delle Alpi Giulie.

Oltrepassati i valichi alpini essi penetrarono nella pianura Padana, dove non trovarono alcuna seria resistenza da parte delle autorità e dei soldati bizantini.

Imbattendosi in spazi adatti all’insediamento, i longobardi si fermarono.

L’occupazione della pianura non obbedì ad alcun piano preordinato: quando un gruppo trovava un luogo adatto all’insediamento prendeva possesso del territorio stabilendovisi. Alcuni gruppi oltrepassarono l’Appennino e scesero lungo l’Italia verso il centrosud.

La penisola italiana venne così, nella seconda metà del VI secolo, a dividersi in due.

Rimasero sotto il controllo bizantino la fascia costiera ligure (conquistata dai longobardi nel VII secolo), quella adriatica da nord della foce del Po ad Ancona (Esarcato, intorno a Ravenna, e Pentapoli), gran parte del Lazio (ducato romano, unito alla Pentapoli da uno stretto “corridoio” lungo la valle del Tevere), l’area intorno alla città di Napoli e ad Amalfi.

L’estremo sud della penisola, le grandi isole (Corsica, Sardegna, Sicilia); tutti gli altri territori finirono invece sotto il dominio longobardo.

I longobardi non conoscevano alcun tipo di organizzazione collettiva: né quello della famiglia, né quello statale.

La base dell’organizzazione sociale era la fara costituita da un esteso gruppo di persone collegate tra loro da vincoli di parentela che consistevano quasi esclusivamente nella discendenza da un unico antico antenato.

I gruppi sociali in cui i longobardi si dividevano erano essenzialmente due. Il primo era costituito dagli arimanni, i liberi, che avevano diritto di parola nelle riunioni e di portare le armi e che formavano dunque il gruppo dei guerrieri.

Il secondo gruppo era costituito dagli aldii, che erano i veri e propri lavoratori: essi non avevano diritto di parola nelle riunioni, né di portare armi, e facevano prevalentemente i pastori.

Equiparate al gruppo degli aldii erano le donne, prive di qualsiasi diritto personale essendo in tutto e per tutto dipendenti dal padre o dal marito cui dovevano assoluta obbedienza.

I rapporti tra le varie fare erano mantenuti da un numero assai ristretto di arimanni, che comandavano ogni fara e tra i quali venivano scelti i comandanti militari e, se era il caso, anche un re dell’intera popolazione.

Quasi mai tuttavia i longobardi furono fortemente uniti al loro interno e attorno al loro re.

Trasferitosi in Italia, il popolo longobardo mantenne il tipo di organizzazione sociale per “fare”.

Era stato nominato comunque un re, il quale aveva stabilito la sua sede, che quindi fungeva da capitale del regno longobardo, a Pavia.

La sua figura era più che altro simbolica, poiché i suoi poteri erano assai limitati.

Sul piano politico contavano maggiormente i vari duchi, cioè i capi guerrieri che avevano organizzato con le fare l’occupazione del territorio.

Questi duchi spesso entravano in conflitto tra loro, e a volte col sovrano stesso, sicché il regno longobardo non appariva affatto come un organismo unitario: esso era in realtà alquanto debole e era frequente che qualche duca si alleasse con nemici del re per combatterlo.

Lo stesso sovrano che aveva guidato il trasferimento in Italia, Alboino, fu quasi subito ucciso in una congiura, e così alcuni suoi successori.

I rapporti con la popolazione latina, inizialmente non buoni, a poco a poco migliorarono, e pur lentamente, i longobardi assunsero alcuni elementi della civiltà romana.

Della civiltà romana conservarono per esempio l’organizzazione dei trasporti e delle provviste alimentari, la costruzione o ricostruzione di acquedotti ed altri edifici.

L’editto di Rotari.

Uno dei primi risultati di questo lento processo di integrazione fu l’editto di re Rotari ( Duca de i  Longobardi a Brescia ), nel 643, che segnava l’integrazione tra le leggi romane e quelle germaniche.

Un altro fattore che favorì l’integrazione dei longobardi, migliorando temporaneamente i rapporti con la Chiesa di Roma fu la loro conversione dall’arianesimo al cattolicesimo.

La conversione avvenne intorno alla metà del VII secolo con il re Ariperto I e osteggiata dalla corrente “nazionalista” e antiromana dell’aristocrazia longobarda.

Poiché però le linee di espansione del regno longobardo si dirigevano verso il centro e il sud d’Italia, anche per ricongiungersi con i possedimenti centro-meridionali (ducati di Benevento e di Spoleto), permaneva una situazione fortemente conflittuale con la Chiesa di Roma.

La chiesa andava organizzando secondo un modello politico-territoriale i suoi possedimenti nell’Italia centrale i quali si interponevano geograficamente a questa espansione.

Fu proprio in ragione di questa minaccia che la Chiesa strinse rapporti di alleanza più stretti coi franchi, i quali, a loro volta, non potevano che consentire a un’alleanza che li avrebbe portati a nuove conquiste.

Il declino del regno Longobardo.

Si ebbe così nel 755-756, a seguito di una richiesta papale, una prima discesa d’un re franco in Italia: Pipino il Breve.

Egli sconfisse il re longobardo Astolfo sottraendogli i territori che i longobardi avevano conquistato presso Ravenna.

Non fu tuttavia una vittoria decisiva.

Poco dopo infatti i longobardi ripresero la lotta contro il papato, che ancora si rivolse ai franchi.

Quando questi, sotto il comando del re Carlo (il futuro Carlo Magno), si mossero contro i longobardi, apparve tutta la debolezza del regno che avevano costruito.

Alcuni duchi infatti non esitarono a passare dalla parte dei franchi, facilitandone la vittoria.

Carlo ebbe quindi nel 774 a Pavia ragione del re longobardo Desiderio e pose fine in modo definitivo al regno longobardo.

Questo però non venne eliminato: Carlo ne assunse la corona annettendolo ai territori che già possedeva in Gallia.

I Longobardi a Brescia

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