I folletti del Gaver figli delle Streghe.

I folletti del Gaver – Leggende Bresciane
Fin dai tempi della dominazione romana si era diffusa la leggenda che i fitti boschi del Gaver, sopra Bagolino, fossero infestati da fantastiche creature detti i folletti del Gaver.
 
I valligiani tutti, ma in modo speciale quelli delle Pertiche, dettero credito alla leggenda al punto da attribuire alle streghe del Gaver la distruzione di Avenone e di Livemmo e il saccheggio di Odeno e di Barbaine, nonché di altri piccoli centri della Pertica decretati da un certo Taliano, luogotenente di Niccolò Piccinino per vendicarsi della sonora sconfitta subita a Lodrone ad opera dei Capitani della serenissima comunità delle Giudicarie.
 
L’ultima volta che si udì nominare le streghe del Gaver fu – a detta delle cronache valsabbine – nel 1830, ricordato appunto come Vanno delle streghe, allorché nella Val Scura vennero inceneriti da terribili scariche di fulmini migliaia di abeti che ammantavano i pendii della valle.
 
Più vicino ai nostri giorni, qualcuno osò affermare che non più le streghe, ma i folletti del Gaver infestassero le Pertiche.
 
I folletti della leggenda mai sopita escono a notte fonda e al chiarore dei raggi lunari accorrono dove le ombre giocano col satellite terrestre e i fantasmi danzano nell’aria frizzante delle Pertiche.
 
E allora che gli animali e le piante, gli arbusti e i fiori temono la irruzione dei folletti che si appiattano nei fossati, nel folto dei cespugli, dentro le concimaie, sui fienili e persino dentro le cantine delle case.
 
I più anziani giurano d’aver udito con le proprie orecchie i folletti del Gaver prendersi la libertà di burlarsi degli abitanti delle case in cui avevano preso dimora, infrangendo stoviglie, spostando mobili, rovesciando suppellettili, rotolando vasellame, gettando oggetti dalla finestra…
 
Dalle cantine qualcuno udì persino il gorgoglìo del vino spillato dalle botti; dai solai uno strascichìo di catene; dalle stalle lo scorrere rugginoso dei catenacci; dai fienili lamentose invocazioni alternate a colpi di mortaretto e a scoppiettìi misteriosi…
 
Un certo malgaro – asserisce la leggenda – irridendo ai folletti mise in dubbio la loro esistenza, tuttavia non seppe spiegare, ai curiosi che lo sollecitavano a raccontare, l’origine di certi fenomeni strani: mentre si versava del vino in un boccale, la brocca gli sfuggì di mano come se una forza invisibile gliela avesse strappata di colpo; al momento di infilarla nella toppa dell’uscio di casa, la chiave gli si sciolse tra le mani come neve al sole; dal focolare vide un tizzone ardente scagliarsi contro un crocifisso ed accorrendo egli per spegnerlo o almeno deviarlo dalla sua traiettoria, d’improvviso scomparve alla sua vista, come ingoiato dall’ignoto.
 
Temendo d’impazzire era uscito correndo dalla sua abitazione per cercar rifugio nell’ospitale osteria del paese. Rimesso sulle sue da un paio di robusti bicchierini, il malgaro della Pertica volle riprendere la strada di casa. Non fece in tempo a formulare, una volta fuori, all’aperto, il pensiero che le sue erano mere ubbìe e che i folletti erano semplici falloppe, quand’ecco si sentì appioppare due robusti ceffoni in pieno viso.
 
«Chi è là? Chi siete?» Invano cercò ficcando gli occhi nel buio della notte l’assalitore. Non gli riuscì che di udire i veloci passi di qualcuno che si allontanava ed una risatina beffarda che andò spegnendosi nel buio della strada.
 
Inutile dire che in seguito a tutti questi racconti, veri o falsi che fossero, i valligiani presero l’abitudine di tenersi a portata di mano un nodoso randello a capo del letto, con il quale percuotere le coperte e fendere l’aria ogni volta che i folletti avessero deciso di irrompere nella camera per incutere paura e impedire il sonno.
 
A colmare la misura, un pastore proveniente dalla Val Rendena, in compagnia d’un arrotino giramondo, raccontò che giunto al ponte sul Caffaro, al momento di varcare il rumoroso torrente che dà il nome alla località, si sentì – per tutto benvenuto! – portar via con un sonoro scapaccione il berretto dal capo.
 
Anche lui non vide anima viva, ma udì distintamente la risata beffarda del folletto che l’aveva dileggiato. «Non c’è niente da fare contro i folletti!» sospirò l’oste, a commento del fatto. «I folletti della Pertica sono i figli delle streghe del Gaver e non perdonano alla Valle di aver cacciato le sabbatiche creature con indovinati esorcismi».
 
L’arrotino sorridendo non mancò di esporre la sua filosofia: «Il mondo è grande e c’è posto anche per i folletti. Lasciamoli sbizzarrire a loro talento. In fondo che male fanno? Servono ad alimentare la leggenda e a rendere più sapida la vita». «Sarà! – commentò sottovoce un avventore. – Voi dite che non è vero, ma io ci credo…».
 
I folletti del Gaver
I folletti del Gaver
Tratto da ” Trenta Leggende Bresciane ” di Lino Monchieri

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